Ti spiego il dato - letterina

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Relax, ci pensano i dati
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Relax, ci pensano i dati

(sono in ritardo e pure breve)

Donata Columbro
Feb 23
10
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Prologo.

La mando? Ma vorrei fare quello speciale Binarismi 2 su emozioni vs razionalità e non ho tempo. Allora non la mando. La newsletter o è una tesi di dottorato validata da 100 ore di studio e 100 ore di scrittura di bozze o non ne vale la pena. Sì ma hai un impegno con le persone abbonate. Ma figurati, nessuno si accorge se non mandi un numero, anzi, ti ringraziano, una mail in meno nella inbox. Però ecco, se la mandi, non occupare pixel e tempo della gente con 400 caratteri di scuse inutili o dialogo con te stessa.

Ah. Troppo tardi.


Dati per togliersi un peso dal petto

Questa settimana ho riletto per lavoro il libro di Emily Oster, Cribsheet.

Me l’ero comprato a pochi giorni dal parto perché il sottotitolo, “una guida alla genitorialità data driven”, parlava con me anche se non “di me”, non ancora. Oster, dopo due figli, dice di aver capito che i dati servono a togliersi di torno la responsabilità e l’ansia di decisioni che pesano sulle proprie spalle. Se sei genitore sai di cosa stiamo parlando, ma anche se guidi un’azienda.

In some ways, data are to today’s parents what psychoanalysis was to the postwar generation: a hoped-for savior. We try to make sense of a chaotic world by reading Nate Silver’s political forecasts and wearing devices that count our steps. At the same time, Big Data is increasingly sinister. If you’ve been pregnant lately, you’ve undoubtedly had the eerie experience of seeing baby-related ads popping up online before you’ve shared the news with anyone. The information age has turned out to be a breeding ground for misinformation, with “Moneyball” giving way to Twitter bots, viral pseudoscience, and dubious Facebook news feeds.

(La recensione del New Yorker che me l’ha fatta scoprire)

Oster è un’economista specializzata in salute pubblica, ha una newsletter da 100mila iscritti e ogni settimana usa i dati come terapia (direbbe Hans Rosling) nel guidare madri e padri affannati dietro le linee guida OMS, i dati sulle vaccinazioni pediatriche contro il covid, le quarantene, ma anche, emergenza a parte, i nuovi studi sulla validità dei test prenatali, le indicazioni sulla necessità di far bollire l’acqua per il latte artificiale (sì o no), quanta tv possono guardare i nostri preziosi bambini prima di essere rovinati per sempre e cose simili.

A San Valentino ha pubblicato dei grafici sul declino della felicità matrimoniale dopo l’arrivo dei figli. Non è colpa dei ragazzini, ovviamente, ma della società patriarcale. Infatti il secondo grafico dice anche che quando le donne nella coppia guadagnano come gli uomini fanno comunque più ore di lavoro di cura non retribuite, e se guadagnano di più allora ne fanno leggermente meno del partner. Ecco spiegata l’infelicità. Non sei tu, è così, lo dicono i dati, non è tuo marito, è il sistema. Anche se forse raccogliere dati sulla tua situazione famigliare potrebbe farti scoprire di essere totalmente fuori dalla media e quindi ad avere diritto a più (o a meno) felicità.

Dovrebbe funzionare così anche in azienda: succede questo e quello? Guardiamo ai dati. Oppure, avendone la possibilità, facciamo dei test (sui figli è più difficile), raccogliamo prove, mettiamo insieme gli indizi, e vediamo come migliorare la situazione. La percezione personale conta (in famiglia si chiama “carico mentale”), ma farsi domande a cui possono rispondere i dati - qualitativi e quantitativi - separa quello che penso io da quello che come team possiamo osservare e cambiare insieme.


Il boxino di fatti miei

  • Yoga mattina e sera contro il mal di schiena: sono a metà del lavoro, sempre grata a La Scimmia Yoga.

  • Finirò mai di leggere Crossroads di Jonathan Franzen? Sono al 97%, odio tutti e non sono più così felice che si tratti del primo episodio di una trilogia.

  • Le Poste Italiane hanno detto di avermi consegnato un pacchetto, invece non l’ho mai ricevuto. Non mi era mai successo. Sono persa nel mondo dei reclami.


LeaderShe camp

Sono tra le professioniste ospiti di LeaderShe Camp, un “laboratorio di consapevolezza” per scoprire la leader che è in te. Puoi partecipare se vivi in Sardegna e hai tra i 18 e i 25 anni. La candidatura si invia entro il 2 marzo. Ho visto il programma e penso che un’esperienza così mi avrebbe dato tantissimo a quell’età.


Oggi breve sono stata breve dai, ci risentiamo mercoledì prossimo! <3

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